Giardino Giusti, nobiliare e comunitario

A Verona, il parco rinascimentale che conserva il passato e guarda al futuro

Parole di Licia Vignotto | Maggio 2025

© Claudio Andreetta

Il giardino nasce come spazio chiuso. La sua prima rappresentazione risale addirittura a 3mila anni fa: è un grafogramma sumero che disegna un triangolo con al centro un albero. Il perimetro è ciò che distingue uno spazio ordinato e comprensibile, dove la natura si piega al pensiero umano, assumendo forme determinate e definite, da ciò che invece è natura selvaggia, pericolosa e misteriosa, vasta, potenzialmente illimitata. Bisogna ricordare questa dicotomia fondamentale per capire fino in fondo cosa significa creare un giardino aperto, un ossimoro, ed è ricordando questa contraddizione che Interno Verde Mag intende approfondire il passato e il presente del Giardino Giusti di Verona, spazio poroso, privato ma pubblico, recintato ma profondamente connesso alla vita della comunità.

A raccontarci la sua storia sono Francesca Trentini, direttrice del giardino, e Marta Zambon, responsabile comunicazione. Entrambe lavorano qui da più di cinque anni, e in questo relativamente breve arco di tempo sono state testimoni di tanti cambiamenti.

© Claudio Andreetta

Ma partiamo dall’inizio, ovvero dalla creazione dell’area verde. A quando risale?

Il giardino è un sito privato, appartiene da sempre alla famiglia Giusti. E’ stato creato nel Cinquecento ma il rapporto che la famiglia intratteneva con questo luogo ha origini ancora più antiche. I Giusti erano originari della Toscana, provenivano dalla zona di Prato. Erano tintori e commercianti di lana. Alla fine del Duecento lasciarono la loro terra insieme a varie famiglie ghibelline e trovarono a Verona, sotto la protezione degli Scaligeri, un buon posto dove stabilirsi, più accogliente e politicamente favorevole. Dove oggi c’è il giardino insediarono la loro azienda: la posizione era strategica, era vicina sia alla via Postumia, che corrispondeva all’attuale via Giardino Giusti, sia al fiume Adige, risorsa importantissima. L’attività si interruppe con l’acquisizione dei titoli nobiliari: già tra la fine del Trecento e l’inizio del Quattrocento la famiglia, che si era decisamente arricchita, aveva comprato vari terreni nella zona di Gazzo Veronese. Questi terreni vennero elevati a contea e ai Giusti si attribuì il titolo di conti. Fu in quel momento che venne dismessa l’impresa, anche se traccia del loro attaccamento al lavoro è rimasta nel motto di famiglia, “In labore requies”, nel lavoro trovo pace. L’idea del giardino nasce a metà Cinquecento, con Agostino Giusti, umanista e appassionato di antichità classica e cavaliere della Serenissima, in rapporti con le dinastie più influenti del suo tempo, prima tra tutte quella dei Medici. Fu sua l’idea di convertire il sito produttivo e consolidare il prestigio maturato nei secoli facendo edificare un palazzo di rappresentanza con giardino all’italiana. La famiglia si trasferì qui e qui restò, in modo più o meno continuativo, fino alla fine della Prima Guerra Mondiale.

Quanto il giardino che vediamo oggi assomiglia al giardino creato nel Cinquecento? Quante e quali modifiche sono intervenute?

Il giardino che vediamo oggi è frutto di un restauro avviato negli anni Settanta, da uno degli attuali proprietari, Nicolò Giusti del Giardino. Basandosi su fonti iconografiche e testimonianze storiche, si è impegnato per riportare in superficie il suo aspetto originario, tardo rinascimentale, con tutte le sue caratteristiche: i disegni geometrici dalle siepi di bosso, segnati in altezza dai cipressi, il viale centrale, i giochi d’acqua, le numerose statue. Nel giardino cinquecentesco è evidente il lavoro dell’uomo, è uno spazio voluto e disegnato dall’uomo. Nei secoli l’impianto originale era stato fortemente modificato, anche la pianta era stata cambiata, adattata prima alla moda francese e poi alla moda inglese. Il restauro si è basato principalmente su una stampa di metà Settecento, del botanico, Johann Christoph Volkamer, è la fonte iconografica più antica. Riprende a volo d’uccello il parterre: si vede il disegno, il labirinto, i cipressi. Abbiamo anche alcune fotografie di com’era il giardino prima del restauro, lo stesso Niccolò Giusti lo ricorda, nella sua infanzia, come uno spazio completamente diverso. Non abitava qui ma veniva qui con sua mamma a fare delle passeggiate pomeridiane, a prendere il tè.

Quando lo spazio familiare, intimo, inizia a diventare spazio condiviso?

In realtà il giardino ha da subito assunto una funzione per certi versi pubblica: era stato ideato per il prestigio della famiglia, doveva essere visto, ammirato da visitatori scelti. Questa tradizione nei secoli è rimasta, si poteva bussare e farsi aprire. Leggenda vuole che abbia fatto così anche Alessandro I, lo zar di Russia, in occasione di una sua visita a Verona. Si dice che non amasse le consuetudini di corte, e che scappasse dagli obblighi istituzionali per esplorare da solo la città. Pare che passando qui di fronte sia riuscito, grazie alla mediazione di un inserviente, a farsi aprire il portone. Altri ospiti, questi invece ampiamente documentati, furono i rampolli delle principali dinastie europee, che giravano l’Italia per formazione personale: era la moda del Grand Tour. Il giardino di fatto è sempre aperto, e dagli anni Settanta sono stati avviati importanti lavori di restauro a cui ha partecipato anche l’attuale proprietà. Ogni tanto troviamo nelle soffitte dei vecchi cartelli per i visitatori, oppure ci scrivono persone che sono state qui in gita con la scuola.

Abbiamo accennato, introducendo l’intervista, a dei cambiamenti recenti ma significativi. Come è cambiata la gestione dello spazio negli ultimi anni?

Noi abbiamo iniziato a lavorare qui nel 2019. La società Giardino Giusti era stata creata appena due anni prima, la conduzione era ancora a carattere familiare. In meno di dieci anni Verona è diventata una delle città più conosciute d’Italia, il turismo ha vissuto una grande accelerazione, e ovviamente questo ha avuto un impatto di riflesso anche su di noi, che nel frattempo abbiamo avviato una gestione più strutturata. In pochi anni i visitatori sono più che raddoppiati.

© Claudio Andreetta

Di recente avete anche vinto il bando promosso dal PNRR per il restauro dei giardini storici. Come avete sfruttato questo finanziamento?

Nell’agosto del 2020 un nubifragio fortissimo ha abbattuto 59 alberi, è stata un’ecatombe. Ci siamo attivati subito per limitare i danni e dopo pochi giorni abbiamo potuto riaprire, sicuramente il PNRR ci ha aiutato: il finanziamento ha rappresentato un’occasione importante per ampliare il restauro e completare la ricostruzione. Abbiamo ripiantato gli alberi caduti, i cipressi sono stati sostituiti con esemplari che oggi ovviamente sono più piccoli, ma non stonano nel complesso: rendono anzi l’atmosfera più ariosa e aperta. Ci siamo poi spesi molto per implementare un nuovo impianto di irrigazione, più sostenibile, che raccoglie l’acqua piovana che scende dalla collina. Prima i rivoli creavano anche problemi di detriti, oggi invece l’acqua viene recuperata in sommità e convogliata nei prati, vicino alle serre, non si disperde. Anche l’impianto di illuminazione è stato rifatto, raffinato. L’obiettivo era dare risalto al disegno e poterlo ammirare anche durante gli eventi serali. Il restauro botanico è stato affidato all’architetto paesaggista Marco Bai, che ha disegnato un progetto conservativo, che non modifica l’assetto tardo cinquecentesco ma vi inserisce nuove essenze, soprattutto fiorite. Uno degli ultimi interventi ha riguardato gli aranci, piantati a terra, che si sommano ai tantissimi agrumi che abbiamo sempre avuto in vaso. Le aiuole disegnate col bosso si chiudono sempre con una pietra quadrangolare e su ciascuna pietra c’è sempre un limone o un arancio, da oggi ci saranno anche gli aranci amari. Nelle parti più esterne, nelle aiuole che costeggiano i muri di cinta, sono state fatte scelte più libere e contemporanee: ellebori, ortensie e iris.

Come vive oggi la famiglia Giusti questo spazio? Come lo considera, con quali emozioni?

Il legame resta fortissimo, anche se nessuno della famiglia vive qui. Nessuno degli eredi ha mai messo in dubbio la cura da dedicare al giardino, non è mai stata considerata la possibilità di venderlo. Il sentimento principale della famiglia verso questo spazio è il senso di responsabilità, il dovere della cura. É uno spazio importante, è parte del patrimonio culturale ma anche comunitario della città.

© Claudio Andreetta

Licia Vignotto

Redattrice | Responsabile del festival Interno Verde

Co-fondatrice dell’associazione Ilturco, che nel 2016 ha ideato e lanciato Interno Verde, e co-fondatrice dell’omonima cooperativa impresa sociale, creata nel 2021 per gestire al meglio l’evento. Responsabile del festival, descrive il suo lavoro “una via di mezzo tra l’investigatore privato e lo stalker”.

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