Quando le orchidee viaggiano in treno
Binario 1 studia la flora che cresce lungo la ferrovia del Brennero
Parole di Licia Vignotto | Illustrazione di Veronica Cosimetti | Maggio 2024
Avete mai notato un’orchidea, incastrata tra i binari? La domanda è retorica, eppure l’orchidea c’è. Ma in treno le palpebre tendono a chiudersi, oppure a fissarsi sul telefono, oppure ancora sulle pagine di un libro. Lo sguardo che attraversa il finestrino, quando lo attraversa, è svagato, distratto, ampio. In più c’è la velocità del viaggio, che di certo inibisce anche il più attento tra i botanici, o gli aspiranti tali. Per capire cosa cresce tra una stazione e l’altra serve tempo, pazienza, curiosità. Se a questi requisiti fondamentali si abbina un progetto di ricerca, analisi qualitativa e quantitativa, un team di esperti, indagini storiche, una rete internazionale, comunicazione e divulgazione… si arriva a Binario 1. Due anni di lavoro, oltre cento rilievi eseguiti lungo la Ferrovia del Brennero, che connette Verona a Innsbruck, 13mila presenze raccolte e abbondanti le sorprese. Questo perché i semi – come i turisti, gli scout in gita, i lavoratori pendolari e i militari – si spostano in carrozza!
Questo concetto era già chiaro a molti botanici attivi tra Otto e Novecento, che concentrarono la loro attenzione a questa particolarissima varietà di flora. Agostino Goiran investigò i binari in prossimità di Verona alla fine dell’Ottocento, subito dopo l’inaugurazione della ferrovia, che risale al 1859. Si accorse subito che in prossimità della linea succedeva qualcosa di strano. Joseph Mur svolse lo stesso lavoro in Valsugana e in Trentino, dove qualche anno dopo – appena conclusa la Prima Guerra Mondiale – operarono anche Luigi Blasioni e Giuseppe Dalla Fior. Wilhelm Pfaff si concentrò invece sull’Alto Adige. Questi ultimi studiosi evidenziarono soprattutto come, al termine di un conflitto, cominciavano a svilupparsi negli scali notevoli quantità di piante esotiche, trasportate involontariamente dai soldati e dai treni merci, carichi di fieno destinato ai cavalli dell’esercito. All’epoca furono soprattutto le specie mediterranee, insediate tra la Valsugana e la Valpusteria, a fare scalpore. Non era possibile che provenissero dal Sud Italia, a causa del confine militare; erano dunque originarie dei possedimenti adriatici dell’Impero Austroungarico e dell’area balcanica. Alcuni di questi “alieni” sono sopravvissuti al passare del tempo e soprattutto alla rigidità degli inverni, traghettandosi fino alla primavera in forma di seme. Altri ancora, la maggior parte, ha vissuto fuori dal proprio habitat naturale per qualche anno e ha finito per estinguersi.
Foto @pixabay
Binario 1 ha ripreso questi studi, ne ha condotti di nuovi, ha confrontato gli esiti e organizzato le informazioni per condividere una riflessione più ampia su ecologia, biodiversità e cambiamento climatico.
Il progetto nasce in seno al circuito dei Musei Euregio. Nel 2020 la rete volle promuovere una serie di iniziative dedicate al trasporto e alla mobilità. La maggior parte degli aderenti decise di approcciare questo tema dal punto di vista storico, il Museo Civico di Rovereto optò invece per l’approccio naturalistico e – col supporto del Museo delle Scienze dell’Alto Adige, che ha sede a Bolzano, e dell’Università di Innsbruck – ha dato vita a Binario 1.
«Per due anni abbiamo viaggiato nello spazio e nel tempo», racconta Alessio Bertolli, vicedirettore della Fondazione Museo Civico di Rovereto, coordinatore del progetto. «La prima fase della ricerca ha riguardato i dati storici, quindi la bibliografia prodotta in passato e l’analisi degli erbari. Poi abbiamo organizzato i sopralluoghi per raccogliere i dati attuali. Complessivamente abbiamo trovato 1.181 specie. Se consideriamo che sulle Alpi ce ne sono circa 4.500 capiamo quanto complesso sia l’ambiente ferroviario, pur nella sua totale artificialità». Di queste 1.182 specie: 766 possono considerarsi autoctone, 415 esotiche. Nel gruppo delle esotiche: 237 non vivevano qui in passato ma erano comunque presenti nel continente europeo, 142 invece provengono dall’Asia e dall’America.
Foto Wikipedia Commons @Liberaler Humanist
Il territorio – molto ampio, che comprende l’Euregio per sconfinare fino a Verona – è stato esplorato da tre equipe, che per due anni hanno svolto i sopralluoghi in quasi ogni stazione, raccogliendo dati sia in primavera che in autunno, seguendo non solo l’asse principale della ferrovia ma anche i rami secondari che collegano la Valsugana, la Val di Sole, la Val Pusteria, Bolzano e Merano.
La ferrovia rappresenta una linea di transito per le piante esotiche, extraeuropee, che arrivano per motivi commerciali e utilizzano il treno per diffondersi. Alcune di queste restano relegate alle stazioni, altre colonizzano ambienti urbani e naturali. Bertolli racconta un caso emblematico, quello dell’Euphorbia davidii: «si tratta di una pianta proveniente dai deserti sassosi dell’America centro settentrionale, che si è insediata lungo la ferrovia del Brennero a partire dagli anni 2000. Si era visto inizialmente un’esemplare a Verona Porta Vescovo, nel 2014 aveva già raggiunto Bronzolo. Tra le massicciate ha trovato un habitat simile al proprio. Il terreno a contatto con i binari può superare anche i 60 gradi di temperatura, ed è particolarmente arido. Nel giro di pochi anni è diventata una presenza stabile, fino a Bolzano. C’è da dire che si tratta di una tendenza comune anche tra le specie esotiche locali, quella di spostarsi progressivamente da sud a nord, a causa del riscaldamento climatico in atto. Se avessimo svolto lo stesso studio trent’anni fa non avremmo trovato gli stessi numeri, il global change non aveva ancora impattato così tanto sul pianeta».
Foto Fondazione Museo Civico Rovereto
Il 60% delle specie esotiche locali censite proviene dal Mediterraneo, come ad esempio la veronica cymbalaria o la stipa barbata, non sono storicamente attestate in queste zone. Vanno considerate come arrivi recenti. Queste specie, così come le piante autoctone, si possono osservare soprattutto in primavera. Le esotiche extraeuropee iniziano a farsi notare tra settembre e ottobre: hanno un ciclo vitale spostato in avanti, che dalla metà dell’estate va fino a fine ottobre. Il motivo è semplice: in quel periodo sono avvantaggiate dal non avere concorrenti locali.
«La flora della ferrovia è molto instabile, bisogna considerare che vive in un ambiente completamente antropizzato. Ci sono alcuni spazi, come gli scali abbandonati, che hanno assunto un ruolo importante. Ospitano specie autoctone di rilievo, rare o minacciate, come le orchidee selvatiche. A Borghetto, in una stazione semiabbandonata, tra i binari invasi dagli arbusti abbiamo trovato l’Epipactis atrorubens. Quando l’uomo va a intervenire in questo tipo di ambienti non dovrebbe trascurare questo aspetto».
Lo scalo più interessante, in termini di biodiversità, è quello di Verona Porta Nuova. Basta osservare l’area da Google Earth per rendersi conto che la stazione è circondata da chilometri quadrati di terra, che è diventata un vero e proprio biotopo. «L’amministrazione ha intenzione di ampliare la città in quella zona, realizzando altri fabbricati, oppure centri commerciali o parchi pubblici. Ovvio che la presenza di determinate piante difficilmente potrà avere influenza su dinamiche più ampie e complesse ma va considerata. Un altro grande intervento che potrebbe realizzarsi è l’interramento parziale della ferrovia, quindi lo smantellamento di alcune stazioni: questo cambierà radicalmente la composizione vegetale del territorio. Tra trent’anni la flora sarà completamente diversa, meno ricca. Il nostro lavoro in quest’ottica assume il rilievo di una testimonianza storica».
I campioni raccolti sono confluiti negli erbari del Museo Civico di Rovereto, del Museo delle Scienze di Bolzano e dell’Università di Innsbruck. Binario 1 si è concluso con la divulgazione dei dati raccolti, quindi con la realizzazione di un video esplicativo e di una mostra itinerante, che continuerà a vivere e a viaggiare. Per chi volesse approfondire, qui si trova l’articolo che racconta nel dettaglio l’esito delle ricerche.
https://www.fondazionemcr.it/UploadDocs/26233_ann202339_completo_.pdf

Licia Vignotto
Redattrice | Responsabile del festival Interno Verde
Co-fondatrice dell’associazione Ilturco, che nel 2016 ha ideato e lanciato Interno Verde, e co-fondatrice dell’omonima cooperativa impresa sociale, creata nel 2021 per gestire al meglio l’evento. Responsabile del festival, descrive il suo lavoro “una via di mezzo tra l’investigatore privato e lo stalker”.

Veronica Cosimetti
Illustratrice
Illustratrice, nasce a Roma dove si laurea in pittura e successivamente si specializza in illustrazione per l’editoria a Bologna dove vive e lavora tutt’ora. Ama i fiori in tutte le loro forme più strane e la affascina la storia degli alberi, sogna un giorno di avere un giardino tutto suo dove dare sfogo al suo pollice verde.