15 anni per lasciare un giardino
Esercizi di libertà e indipendenza, nell’eden fiorito di Severino Prosdocimi
Parole di Licia Vignotto | Immagini di Giacomo Lodi | Luglio 2025
Facciamo un gioco. Proviamo a immaginare di dedicare per quindici anni, sei ore al giorno, tutta la nostra cura e attenzione, il nostro impegno e il nostro cuore alla creazione di giardino. Non sono poche, sei ore al giorno, per quindici anni, a vangare, a potare, a estirpare, innaffiare, spostare, controllare, sperimentare, adattare. Disegnare aiuole e allestire berceau, comprare essenze, sagomare chiome, indirizzare rampicanti, scavare fontane e canaletti, trattare le foglie, nutrire le radici, proteggere e difendere ogni singolo esemplare dalle muffe, dai parassiti, dalle malattie. Immaginiamo di creare un vero e proprio paradiso, stupefacente e fiorito in tutte le stagioni, talmente bello e colorato e ricco da non sembrare reale. Un sogno. E poi immaginiamo di abbandonare questo spazio al suo destino, alla fortuna, al caso. Chiudiamo la porta e andiamocene via.
É un esercizio di libertà e indipendenza, ed è quello che ha fatto e sta facendo Severino Prosdocimi, che lascia l’eden che ha creato a Campiglia dei Berici, un piccolo paese in provincia di Vicenza, per andarsene al mare, vicino alle onde, sull’Isola di Pellestrina.
Severino è un maestro in pensione e un artista, crea opere utilizzando materiali di recupero, assemblando e dipingendo oggetti abbondanti. Vede la bellezza dove altri vedono lo scarto. Il suo cognome ha origini lontane, sembra che i trisavoli siano arrivati navigando dalla Grecia, per impiegarsi come maestranze al servizio della Serenissima. La passione per il giardino gli viene dai genitori, che curavano l’orto, e quando decise di acquistare la casa di Campiglia lo fece soprattutto perché si innamorò di quello che all’epoca era solo un cortile spoglio, ma molto grande. L’immobile risale alla fine dell’Ottocento, era il teatro del paese, ed ha vissuto vicende alterne. Quando Severino l’ha comprato era tutto da rifare e ripensare, ma prima di dedicarsi agli interni volle impegnare i primi due anni a impostare l’esterno: 500 metri quadri di niente, di prato lasciato a sé stesso, che ha immaginato e trasformato un centimetro alla volta. Oggi la superficie è leggermente ridotta, 200 metri quadri sono stati ceduti ai vicini, ma quando si varca la soglia il colpo d’occhio non è meno stupefacente.
Un lungo corridoio dove il verde si rincorre e continuamente sorprende, strutturato in innumerevoli stanze, ciascuna col proprio carattere e una propria atmosfera, come se il giardino non fosse uno ma fossero tanti, una pluralità di ambienti che si irradiano e moltiplicano, come per effetto di un caleidoscopio. Si comincia con i tralci di vite, le palme, le succulente e i vasi di pervinca che danzano nell’aria, appesi al pergolato, si continua con la vasca zen, le ninfee e i pesci rossi, poi si incontra una specie di cavea teatrale punteggiata di edere in vaso, tutte diverse, e poi ancora il tasso sagomato, il bosso, i cipressi, gli agrumi, la clematide che si arrotola alla rosa che si attorciglia al glicine… sembra non finire mai.
Reperti antichi e copie di reperti disseminano il percorso, dove si incontrano vere da pozzo in pietra, croci templari del Cinquecento, bandiere segnavento di ferro arrugginito, medaglioni in terracotta che descrivono il ciclo delle stagioni. Ogni passo lascia a bocca aperta e non si sa dove e cosa guardare: è troppo! Gli occhi si spostano dal calicanto alla lonicera, dal citrus trifoliata all’oleandro, dal camino. Un capitolo a parte meriterebbero le rose, affettive e intellettuali. Qui si conserva la rosa della nonna, profumatissima rifiorente, ma anche la rosa gialla col cuore rosso, molto rara, che a metà stagione inverte i colori, fuori diventa rossa e il giallo resta all’interno.
Severino ha parole per ogni singolo bocciolo. Può raccontare la storia privata e personale di ciascuna essenza. Sono tutti esseri viventi singolari quello che lo circondano: li conosce uno per uno, sa da dove vengono, sa cos’hanno fatto in questi anni, i problemi che hanno affrontato, i momenti di gioia e di gloria, non sa però che fine faranno, non sa cosa riserva loro il futuro. Il futuro l’ha scelto solo per sé, ed è un futuro di brezza salata. Le piante restano qui, lui se ne va. Casa e giardino verranno affittate o comprate, a seconda dell’opportunità che si presenta.
Ma come si fa a lasciare tutto questo? La sua vicenda assomiglia a quelle cantate da Lucio Corsi in “Cosa faremo da grandi?”, dove c’è chi per una vita intera crea e dipinge le conchiglie ma un giorno capisce di essersi stancato, butta nel vento il lavoro di anni, per aprirsi all’interrogativo, sbirciare verso un domani non scritto. Severino risponde col sorriso, spiega che San Pietro prima o poi ci farà abbandonare tutto e conviene abituarsi prima, non attaccarsi a nulla. «Cambio vita, per andare in un posto bello».
Licia Vignotto
Redattrice | Responsabile del festival Interno Verde
Co-fondatrice dell’associazione Ilturco, che nel 2016 ha ideato e lanciato Interno Verde, e co-fondatrice dell’omonima cooperativa impresa sociale, creata nel 2021 per gestire al meglio l’evento. Responsabile del festival, descrive il suo lavoro “una via di mezzo tra l’investigatore privato e lo stalker”.



