Nella prima mini foresta italiana

Il metodo Miyawaki applicato alla Pianura Padana

Parole di Anna Carolina Santagelo | Immagini di Tiny Forest Italia | Ottobre 2025

La prima mini foresta italiana è stata accolta dal comune di Mortara, in provincia di Pavia, nel 2020. Realizzata seguendo il metodo Miyawaki, si è costituita con 300 piante e ha preso forma grazie alla collaborazione di 150 persone. É un’opera collettiva, nata parallelamente all’associazione Tiny Forest. Racconta questa esperienza a Interno Verde Mag Valentina Venturi del GUFI, Gruppo Unitario per le Foreste Italiane e per la Comunicazione: «il progetto di Mortara è stato quello che ha dato il via all’associazione. La nostra fondatrice, Elisa Manzino, voleva sperimentare questa tecnica di riforestazione, diffusa in Europa ma poco applicata in Italia. Partendo da un gruppo di volontari abbiamo deciso di intraprendere una stagione sperimentale per vedere come il metodo Miyawaki avrebbe interagito con le specie autoctone della Pianura Padana. Avendo ottenuto ottimi risultati nella crescita delle piante, abbiamo deciso di creare una vera e propria associazione che replicasse questo modello il più possibile in pianura padana ed eventualmente in altre zone dove ci fosse stata richiesta. É così che siamo nati!».     

La caratteristica delle mini foreste è la messa a dimora di tante piante molto fitte in uno spazio piccolo, dove crescono più velocemente del normale, con un irrigazione minima, di supporto, solo nei momenti più caldi e secchi. Punto di differenza rispetto alle altre riforestazioni è l’utilizzo della pacciamatura finalizzata alla creazione di un substrato molto fertile, al mantenere  stabile la temperatura del terreno e a rendere il suolo umido in modo da favorire le condizioni ottimali per una crescita sana delle piante. L’associazione Tiny Forest per i primi tre anni ha monitorato il progetto di Mortara regolarmente, avvalendosi anche dell’aiuto della cittadinanza e coinvolgendo. nell’operazione l’Istituto agrario di Vigevano. «In primo luogo facciamo un accordo con le scuole, che prevede un piccolo periodo di formazione, in genere un paio d’ore, dove andiamo a spiegare il metodo che stiamo usando e il funzionamento di una foresta, quindi le dinamiche di competizione e cooperazione tra le piante. Illustriamo agli studenti l’elenco delle specie vegetali che andranno a piantare in modo che siano consapevoli di cosa stanno facendo».

Il progetto ha coinvolto la collettività del paese e delle zone limitrofe, producendo un positivo effetto educativo, ovvero diffondendo consapevolezza sociale sull’importanza della biodiversità e sulla necessità di conservare gli ecosistemi naturali. Si è cercato di limitare già dalla tenera età il fenomeno del plant blindness, ovvero la tendenza a non vedere, a ignorare le specie vegetali, rendendo partecipi bambini anche molto piccoli. «Abbiamo pensato ad un lavoro di vivaio diffuso, dove ad ogni bambino veniva affidato un seme in un piccolo vaso. I bambini dovevano prendersene cura, innaffiare con costanza fino alla crescita del germoglio. Raggiunta la giusta dimensione, pressapoco di trenta centimetri, la piantina veniva poi piantumata nella foresta. Per loro quella non era solo una pianta, era una creatura che avevano curato, protetto e amato». Dunque osservare, conoscere, imparare i nomi degli alberi che ci circondano e non vedere genericamente verde, ma studiare la sua potenzialità per stabilire una nuova relazione uomo-natura.

La realizzazione del progetto di Mortara è avvenuta a seguito di una fase di approfondimento e analisi, come spiega il biologo naturalista Kevin Cianfaglione, professore associato all’Università Cattolica di Lille, socio di Tiny Forest: «si parte analizzando e determinando la vegetazione potenziale di una determinata area, ovvero che tipo di specie potrebbe ospitare e come sarebbe il suolo del bosco, se l’uomo non fosse intervenuto andando a modificare la crescita spontanea. In secondo luogo bisogna capire come reperire le piante prossime a quel luogo e dunque cercare di rintracciare il seme autoctono, tuttavia molto spesso non ci sono vivai forestali nelle vicinanze, ma magari a distanza di 50 o 100 chilometri. Stiamo cercando di capire come il metodo Miyawaki si può adattare al nostro clima e alla nostra area geografica. Non essendoci studi e dati costruiti in precedenza verifichiamo se il nostro modo di procedere è giusto e cerchiamo di affinare il più possibile  la tecnica di rimboschimento».

L’associazione Tiny Forest è la prima in Italia a perseguire il sistema di riforestazione giapponese in maniera scientifica. Collabora con altre realtà europee che adoperano lo stesso procedimento, scambiando informazioni tecniche mirate a costruire una base solida di dati e studi di lunga durata, per cercare di adattare questo sistema alle condizioni mediterranee, come ci racconta il professor Cianfaglione: «la maggior parte di queste piccole foreste sono nate in zone molto umide, simili a quelle giapponesi, dove appunto è stato inventato il metodo. Noi abbiamo cercato di creare le mini foreste nel nostro territorio, con il nostro clima, dove ad esempio abbiamo stagioni avverse e difficili da affrontare, come l’estate, quando la crescita delle piante rallenta perché le temperature sono troppo alte, ma appunto stiamo lavorando e ci stiamo organizzando affinché il metodo Miyawaki si adatti al Mediterraneo».                                                                    

Per Tiny Forest è importante che si preservi la biodiversità necessaria alla vita dell’uomo, che la cura dell’ambiente segua criteri scientifici e infine che il verde sia accessibile a tutti,  per migliorare la vita quotidiana dei cittadini. Conclude Valentina Venturi: «la nostra priorità è concentrarci sui quartieri più periferici, dove le fasce meno agiate della popolazione hanno meno accesso alla natura, il che influisce sul benessere della comunità sia a livello psicologico che a livello di salute. Riteniamo che portare gli alberi in queste zone sia una questione sociale, che va affrontata impegnandosi a realizzare ambienti naturali dove ogni bambino abbia la possibilità di giocare in uno spazio naturale».  

Anna Carolina Santangelo

Redattrice

Pugliese, classe 1993; laureata in Scienze della Comunicazione a Ferrara. Per stare al mondo di avvale di arte, libri, cinema, musica, danza ecc.; crede nel valore della scrittura, nell’importanza delle parole e nell’osservazione della realtà che la circonda. I versi della scrittrice S. Plath identificano il suo rapporto con la natura “finalmente gli alberi mi toccheranno, i fiori avranno tempo per me”.