Morire per rifiorire
Compostaggio umano e sepolture verdi: quando la fine diventa rinascita
Parole e illustrazioni di Sara Buglione | Ottobre 2025
In un’epoca in cui la sostenibilità guida le scelte quotidiane, anche la morte diventa oggetto di riflessione. Le pratiche funerarie tradizionali, spesso considerate immutabili, si rivelano profondamente impattanti: tra bare in legno trattato, cementificazione dei cimiteri, imbalsamazione chimica e crematori ad alta emissione, il lutto lascia dietro di sé un’impronta ecologica tutt’altro che trascurabile. Ma qualcosa sta cambiando. Sempre più persone scelgono rituali e pratiche più naturali, optando per sepolture che rispettano la terra e ne favoriscono la rigenerazione. Dalle bare in vimini alle urne biodegradabili, fino al compostaggio umano, si sta delineando un nuovo modo di pensare l’addio: non come fine, ma come ritorno. Nel cuore di una società che ha reso la morte invisibile, si fa strada un desiderio antico: restituire il corpo alla terra.
Le sepolture verdi si ispirano a pratiche millenarie, in cui il defunto viene avvolto in un sudario biodegradabile e inumato senza lapidi né cemento, lasciando che la decomposizione avvenga in modo spontaneo. In alcuni casi, la sepoltura non avviene in profondità, per favorire il ciclo biologico e ridurre al minimo l’impatto ambientale. Questa scelta, che un tempo era diffusa in tante comunità indigene, oggi si trasforma in una dichiarazione ecologica e culturale. Le bare in vimini, le urne in materiali naturali, gli alberi piantati al posto delle lapidi: ogni gesto diventa parte di un memoriale vivente, dove la morte è interpretata come un passaggio verso la rigenerazione.
Tra le innovazioni più radicali figura il compostaggio umano — noto anche come riduzione organica naturale — rappresenta una vera rivoluzione. Il processo, altamente controllato, prevede che il corpo venga collocato in un contenitore sigillato insieme a materiali organici come trucioli di legno, paglia e fiori. L’attività microbica accelera la decomposizione, trasformando i resti in circa un mese in terriccio fertile. Dopo la rimozione di ossa e protesi, il compost viene essiccato e può essere utilizzato per piantare alberi, nutrire giardini o sostenere progetti ambientali. Nonostante i costi energetici legati alla gestione del processo, la terramazione offre un’alternativa concreta alla cremazione e alla sepoltura tradizionale, contribuendo alla cattura del carbonio e alla rigenerazione del suolo.
Negli Stati Uniti, molte aree cimiteriali hanno riservato spazi dedicati alle sepolture naturali, spesso immerse nella vegetazione e prive di lapidi, sostituite da pietre locali o coordinate GPS. In Europa, la Svezia è attualmente l’unico paese dove la terramazione è legalmente autorizzata, mentre in altri stati si sperimentano forme ibride di sepoltura verde.
In Italia, nonostante la normativa resti ancorata a regolamenti del secolo scorso, stanno emergendo iniziative che propongono alternative sostenibili. Alcuni progetti prevedono la piantumazione di alberi commemorativi, identificati da targhette e localizzabili tramite GPS, trasformando il lutto in un gesto di cura verso l’ambiente. Altri offrono urne biodegradabili o capsule organiche che, una volta interrate, nutrono le radici di un albero scelto in vita dal defunto. In alcuni casi, si creano dei veri e propri “boschi della memoria”, dove ogni pianta racconta una storia e ogni sentiero diventa un luogo di raccoglimento e rinascita. Meritano di essere menzionate diverse esperienze.
Boschi Vivi è una cooperativa genovese che offre tra i suoi servizi l’interramento delle ceneri nel bosco, ai piedi dell’albero scelto, e supporta i familiari negli aspetti burocratici della pratica, dato che in pochi sanno che per legge è necessario dichiarare la volontà di dispersione delle ceneri.
Molto interessante è anche un progetto nato a Ozzano Emilia, dove l’associazione bolognese Becoming Trees promuove la creazione di uno spazio pubblico dove unire alberi e ceneri umane nel vecchio cimitero di Borgo San Pietro. La community di Becoming Trees si impegna per legare il concetto di eternità a quello di libertà e ambiente, aiutando la gente a sdoganare la scelta di un bosco come luogo di sepoltura svincolato da ogni costrizione fisica, sociale e culturale.
Un’altra proposta molto particolare è Capsula Mundi, oggetto nato dalla riflessione sul ruolo del design nell’accompagnare il lutto: è un contenitore a forma di uovo, realizzato con un materiale biodegradabile, nel quale viene posto il corpo del defunto (in posizione fetale o in forma di ceneri). La capsula viene interrata e sopra di essa viene piantato un albero scelto dal defunto, che poi verrà curato da amici e familiari.
Dietro la crescente diffusione di queste pratiche si cela un cambiamento profondo: una rivoluzione culturale nel modo in cui pensiamo e parliamo della morte. Per secoli, la società occidentale ha rimosso il decesso dal discorso pubblico, trasformandola in un evento da nascondere, medicalizzare, delegare. Ma oggi, un numero crescente di persone sta riscoprendo il valore di un rapporto più consapevole, sereno e diretto con la fine della vita. Questo approccio si riflette nel movimento noto come Death Positive, nato per promuovere una nuova alfabetizzazione dell’addio. L’idea è semplice: parlare di morte migliora la vita. Accettare la propria finitudine, scegliere consapevolmente come essere ricordati, ridurre l’impatto del proprio addio: tutto questo diventa parte di un percorso di cura, non solo per sé, ma anche per il pianeta.
Come accaduto per altri grandi cambiamenti culturali del passato, anche questa trasformazione si muove dal basso, attraverso comunità, attivisti, imprese funebri alternative e progetti artistici. Il trapasso, da tabù, torna a essere un atto di responsabilità e condivisione. E in questo nuovo orizzonte, scegliere di “morire per fiorire” non è solo una metafora poetica, ma una possibilità concreta. In un mondo che corre, consuma e dimentica, scegliere come morire diventa un atto di consapevolezza. Le sepolture verdi non sono solo una risposta ecologica: sono una dichiarazione d’amore verso la terra, un gesto che restituisce ciò che abbiamo ricevuto. Invece di lasciare cemento, lasciamo radici.
Non possiamo scegliere quando morire, ma possiamo scegliere come lasciare il mondo. E in questa scelta, c’è già il seme di una nuova vita.
Sara Buglione
Redattrice
Pugliese trapiantata in Emilia-Romagna, laureata in Arti Visive all’Università di Bologna, non perde occasione per prendere aerei e treni appena può.
Affascinata dalla cultura giapponese, spera un giorno di poter visitare le isole nipponiche; nel frattempo passa le ore a guardare anime. La trovi sempre in giro, magari su un longboard skate o in un mercatino vintage.

