Arte a fior di pelle

Alla Saatchi Gallery, le opere botaniche di Daniel The Gardener

Immagini e illustrazione di Laura Bonini | Aprile 2025

Narcisi, crochi, fior di pesco, magnolie: Londra è un’opera di puntinismo, un Damien Hirst in fiore. Per celebrare la primavera in questa città notoriamente grigia, dal 12 febbraio al 5 maggio la Saatchi Gallery ospita Flowers – Flora in Contemporary Art and Culture.

Disseminata su due piani e nove sale espositive, la mostra esplora il vastissimo mondo della rappresentazione floreale, attraverso più di cinquecento opere che spaziano da illustrazioni storiche e scientifiche a stanze in cui immergersi in installazioni interattive, fino ad album musicali, pezzi di design e alta moda. Nella stanza intitolata “Flowers and Fashion”, accanto a Vivienne Westwood e Schiaparelli, c’è anche un artista che opera sul corpo in maniera diversa, non copre la nudità con dei vestiti ma ci dipinge sopra. É ancora abbastanza raro trovare gallerie che considerino i tatuaggi come opere d’arte a pieno titolo: per questo motivo, oltre che per la spontanea attrazione per il tema vegetale, Interno Verde Mag ha voluto intervistare Daniel The Gardener, che la Saatchi Gallery definisce «un artista contemporaneo che fatica a distinguere tra opere su tela e ‘arte vivente’».

I suoi tatuaggi botanici si sviluppano sul corpo, vengono disegnati a mano libera con una fluidità organica che sottintende una profonda conoscenza sia dell’anatomia umana sia delle conformazione vegetale. Ma questa non è l’unica ragione per cui il suo lavoro si inserisce perfettamente nel panorama della mostra. Daniel è argentino, la sua professione l’ha portato in vari studi europei, ed è atterrato a Londra poco prima della pandemia, periodo di crisi nera per l’industria del tatuaggio. A partire dal 2020, complice la situazione del mercato poco favorevole, si è riavvicinato ai suoi interessi giovanili, specializzandosi alla Sarabande Foundation di Alexander McQueen, istituita per formare gli artisti del futuro. Egli infatti, nei primi anni Duemila, quando ancora viveva a Buenos Aires, aveva vinto numerosi premi grazie ai suoi dipinti su tela, realizzati con colori brillanti e motivi floreali, ma aveva poi abbandonato questa pratica, pensando di non potersi dedicare contemporaneamente alla pittura e al tatuaggio.

Dopo una decina di anni trascorsi nel puro studio della tecnica del tatuaggio in scala di grigi, quando ha ripreso a dipingere è stato entusiasta di tornare a usare i colori. I due dipinti più piccoli esposti alla Saatchi, intitolati “Once Together” e “Along the Way”, sono più tenui, in tonalità organiche che ricordano rispettivamente alba e imbrunire. La tela più grande, “Beneath the Sun”, è più luminosa, un accenno a una tavolozza passata che la dice lunga sull’importanza della memoria e dell’identità.

Il modo in cui lavora sulla tela imita il processo del tatuaggio, dalla prima bozza a pennello fino a quando l’inchiostro è tutt’uno con la pelle. La differenza tra dipingere su tela e tatuare sulle persone è la natura della superficie stessa: mentre la tela stesa è bianca e prefabbricata, ha dei bordi ed è centrale nella storia dell’arte ancora prima che vi si posi sopra un pennello, una persona ha la sua identità e le sue storie, che possono essere raccontate su corpi come superfici virtualmente infinite.

I suoi tatuaggi completano il corpo, esprimono e arricchiscono l’identità della persona, definiscono una storia che precede il gesto artistico: lo stesso processo si è voluto portare sulla tela. Daniel spiega con passione come ha iniziato a far acquisire vita e storia alle sue tele, a partire dal lino grezzo su cui rovescia tazze di tè o elementi naturali, versandoci acqua bollente, tingendo e sperimentando, per poi dipingerci sopra con colori ad olio stesi in sfumature dolci e gradienti piatti. Alla fine, per restituire importanza alla tintura del fondale, quasi replicando il processo di guarigione della pelle su un tatuaggio fresco, le tele vengono tinte nuovamente. In questo modo il soggetto dipinto si trova tra due strati, vien come incorporato alla tela, è come se ne avesse sempre fatto parte.

Daniel è profondamente dedito alle piante. Raccoglitore esperto, appassionato di passeggiate che considera una metodica ricerca sull’essenza e la materialità di ogni pianta, ha persino una stazione di propagazione nel suo studio, rigoglioso da fare invidia. Lo ha arredato in collaborazione con il fiorista Matthew Richardson, proprietario del vivaio che funge da ingresso: i clienti devono attraversare il verde per avvicinarsi alla natura, fin sotto la pelle.

Essendosi specializzato nel realizzare tatuaggi di grandi dimensioni, l’attenzione dei clienti deve obbligatoriamente spostarsi dal risultato finale al processo. Varcare la soglia del suo studio non è così facile, perché l’operazione non si conclude in qualche ora, e spesso si rivolgono a lui persone che hanno fatto della natura il loro lavoro, la loro ragione di vita: intendono il tatuaggio come testimonianza del loro impegno, espressione della propria identità ma anche modifica di come percepiscono loro stessi in relazione all’ambiente. Per Daniel i tatuaggi sono il primo livello di vestizione del corpo, ma al contrario delle costanti fluttuazioni estetiche tipiche della moda, sono decorazioni permanenti, esistono al di là dei cambiamenti collettivi e del singolo, e per questo diventano particolarmente toccanti quando rappresentano un impegno.

Le composizioni più complesse vengono spiegate al pubblico della Saatchi e ai follower su Instagram attraverso brevi documentari autobiografici e didascalie in cui i clienti parlano del loro legame con la natura, che si tratti della flora quasi estinta del villaggio di origine dei genitori, sperduto nell’India centrale, o delle verdure dell’orto della nonna. A questo proposito, Daniel rivela il suo interesse per la semiotica e le modalità attraverso cui le emozioni possono influenzare la memoria, dunque la rappresentazione grafica degli elementi floreali: tutto ciò viene immortalato sui corpi, che considera tanto effimeri quanto le piante stesse. Nella sua visione metaforica, le piante sono la soluzione d’inchiostro attraverso cui viene raccontato il pigmento delle storie dei clienti, e questi tatuaggi floreali diventano la traduzione visibile delle loro personalità.

Sono disegni che fanno riaffiorare l’identità, manifestando sulla pelle un sé più vero: «il mio lavoro è tradurre nel vocabolario figurativo che uso e coltivo le emozioni e le memorie». Profondità emotiva tradotta in forma visiva, che privilegia la capacità del simbolo di essere spunto di dialogo e connessione, per riportare al centro della conversazione l’autenticità dell’individuo. Tatuaggi e piante per sentirsi più saldi nelle proprie radici, personali e collettive, profondamente umane.

Laura Bonini

Redattrice

Laura Bonini è nata nel 1999 ed è originaria di Sermide, Mantova. È Laureata in Lingue Mercati e Culture dell’Asia, studia Lingua e Cultura Italiane per Stranieri all’Università di Bologna. I suoi diari di viaggio raccolgono ricordi in inchiostro e acquerello. Se volete farle gli auguri, il suo compleanno è il 30 settembre.

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