La foresta commestibile di Parma

Dentro la Picasso Food Forest, bosco urbano curato dagli abitanti, ricco di biodiversità e di bontà

Parole di Debora Vitulano | Ottobre 2024

Giulia Nascimbeni © Interno Verde

Nel quartiere residenziale Picasso di Parma, fa capolino uno spazio verde che sembra effettivamente un’opera della natura. Si trova in via Marconi, nome d’arte Picasso Food Forest: è il primo esempio di sperimentazione di una food forest urbana e pubblica a Parma, oltre ad essere tra in Italia. Un’area di circa 5700 metri quadrati che si sviluppa su due rettangoli disposti ad elle.

Ma che cos’è una food forest? Per farla semplice, è un bosco da mangiare. Lo spiega meglio Francesca Riolo, che è stata fin da subito fra i promotori dell’iniziativa e si prende cura di questo sito da dodici anni, insieme all’associazione Fruttorti: «è un sistema disegnato dall’uomo imitando un ecosistema naturale, al fine di soddisfare i propri bisogni. Qui gli alberi non si chiudono, ma restano più aperti e consentono ai raggi solari di arrivare fino al suolo e rendere produttivi anche gli altri strati vegetativi».

Il modello di riferimento è quello del bosco immaturo. Mentre una foresta matura è dominata da grandi alberi con una chioma chiusa, che lascia penetrare poca luce, un bosco immaturo è caratterizzato da alberi di diversa dimensione, arbusti, erbe e presenta zone in ombra alternate a zone più illuminate offrendo una varietà di nicchie ecologiche ed elevata produttività.

© Fruttorti

L’obiettivo di Fruttorti, come spiegano gli associati, è quello di creare una rete di giardini foresta “commestibili”, in cui le piante forniscono cibo per gli abitanti del quartiere ed allo stesso tempo creano un habitat simile a quello naturale, nel quale le funzioni essenziali possano essere svolte a supporto dell’intero sistema.

© Picasso Food Forest

Una luce di speranza che parte dal cibo

Il progetto nasce nel 2012 su iniziativa di un gruppo di cittadini in cerca di

«una soluzione semplice e alla portata di tutti per rispondere alle problematiche che affliggono la contemporaneità: dai cambiamenti climatici alla perdita di biodiversità, fino agli aspetti sociali, come l’individualismo, la disgregazione della comunità e la generale insostenibilità del nostro sistema economico e dei nostri stili di vita». 

Francesca e gli altri per trovare questa soluzione sono partiti dal cibo, «sia perché è un aspetto che accomuna tutti, sia perché costituisce uno dei principali fattori di impatto ambientale». Hanno, così, avviato un laboratorio di nuove tecniche di coltivazione con l’obiettivo di creare «un luogo in cui parlare di sostenibilità e sperimentarla dal punto di vista pratico». A oggi, la Picasso Food Forest viene curata dai cittadini e ospita attività di volontariato d’impresa e laboratori rivolti alle scuole.

Giulia Nascimbeni © Interno Verde

Una nuova vita per un prato abbandonato

Lo spazio prescelto era allora un prato inutilizzato: «non abbiamo fatto alcuna lavorazione preliminare del terreno, ma ogni volta che piantiamo una nuova pianta pacciamiamo abbondantemente tutto intorno con cartone e cippato di legno. Questo crea un habitat fungino che favorisce gli stadi iniziali di crescita». La pacciamatura svolge un ruolo centrale: «Teniamo il terreno sempre coperto con materia organica, come ad esempio le foglie, che utilizziamo anche nelle compostiere».

Questa tecnica, unitamente a uno studio dell’esposizione solare, consente anche di minimizzare il consumo d’acqua:

«abbiamo creato un ecosistema di piante che si ombreggiano a vicenda e adottato un’irrigazione automatizzata, che combina il sistema goccia a goccia con lo sprinkler. Utilizziamo circa dieci volte in meno la quantità d’acqua di un frutteto standard».

© Fruttorti

Un ecosistema che segue i ritmi della natura

A dodici anni dalla sua creazione la Picasso Food Forest conta oltre trecento diverse specie di piante, la maggior parte delle quali commestibili: «coltiviamo numerosi alberi e arbusti da frutta, principalmente varietà antiche, che abbiamo recuperato attraverso L’Associazione Agricoltori e Allevatori Custodi di Parma. E poi tante piante aromatiche e officinali. Valorizziamo, inoltre, le piante spontanee». Nel corso degli anni, infatti, agli esemplari piantati dall’uomo si sono aggiunte spontaneamente diverse piante, tra cui noce, ciliegio, ortica, tarassaco, portulaca. «Oltre a essere commestibili e dunque far parte della produttività dell’ecosistema», spiega Francesca, «mantengono quest’ultimo in salute e supportano la biodiversità».
Un modus operandi volutamente in controtendenza rispetto alle consuete pratiche agricole: «l’uomo in agricoltura ha un atteggiamento antropocentrico e deleterio: gestisce un’area in modo che ci cresca un’unica specie, quella di cui si vuole nutrire. Gli ecosistemi naturali sono, invece, molto complessi e diversificati in termini sia di flora sia di fauna».

Nella food forest non si lavora contro la natura ma al fianco, cercando di utilizzarne i processi di fertilità naturale, a partire dal riciclo di ogni risorsa:

«Questo permette di avere un sistema che richieda meno manutenzione e input esterni. Non facciamo uso di composti chimici, nemmeno di quelli ammessi in agricoltura biologica. Lasciamo tutto alla catena alimentare tra preda e predatore, cercando di favorire gli insetti in modo che le varie popolazioni si mantengano in equilibrio».

Allo stesso modo, le piante danno vita a un sistema resiliente: «alcune sono anche azoto-fissatrici e contribuiscono alla fertilizzazione naturale del suolo».

© Picasso Food Forest

Il laghetto della biodiversità

All’interno della Picasso Food Forest sono state censite oltre trecento specie di animali differenti. Si tratta principalmente di insetti, ma si annoverano anche cinquanta specie di uccelli. Dedicata agli insetti c’è una postazione didattica: «si tratta di un hotel dove è possibile osservare, per esempio, le api solitarie, che in primavera costruiscono i loro nidi nelle cavità. Queste svolgono un ruolo chiave nell’impollinazione degli alberi da frutta».
Ad accrescere il numero di piante e animali ha contribuito un laghetto: «per supportare la biodiversità abbiamo creato una piccola zona umida, ecosistema oggi fra i più minacciati. Si stima, infatti, che a livello globale siano andate perse l’ottanta percento delle zone umide». Il laghetto ha permesso di introdurre trentacinque nuove specie di piante, alcune commestibili e molte quasi estinte in natura, come la Marsilea quadrifolia, il campanellino estivo e la felce palustre.

Inoltre, a un anno dalla sua creazione, sono state censite trentadue nuove specie animali. Ci tiene a spiegare Francesca:

«il laghetto della biodiversità è un ecosistema perfettamente in equilibrio, che non favorisce in alcun modo la proliferazione delle zanzare, che qui al contrario trovano diversi predatori, per esempio larve di libellula, coleotteri subacquei, pattinatrici e notonette».

Fra i propositi per il futuro vi è la creazione di un corridoio ecologico per l’introduzione degli anfibi, rivelatisi localmente estinti in questa zona della città.

Debora Vitulano

Redattrice

Giornalista, scrittrice, traduttrice ed editor freelance, vive tra Parma e Mantova. Italo-russa, è appassionata di linguistica, letteratura, musica, arte e moda. Pratica yoga, le piace viaggiare e ama la natura e gli animali.

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