L’eredità delle radici a Palazzo Tamborino Cezzi

Gusto neoclassico e piante selvatiche, nel giardino nascosto di Lecce.

Parole e immagini di Sara Buglione | Agosto 2025

Maria Irene Cezzi è il primo membro della famiglia che mi viene incontro. Mi accoglie calorosamente sulla soglia di Palazzo Tamborini Cezzi, nel cuore di Lecce, a pochi passi da Piazza Sant’Oronzo. Poco dopo appare sua madre Gabriella, sorridente e allegra: è lei che mi accompagna attraverso l’atrio, dove si apre un grande, meraviglioso giardino. Capisco che sta per cominciare un viaggio unico.

L’edificio alle nostre spalle porta i segni di cinque secoli di storia: dalle origini rinascimentali di metà Cinquecento alle colonne doriche e corinzie della rielaborazione neoclassica di fine Ottocento. A questa trasformazione scenografica hanno contribuito maestri dell’epoca come l’ingegnere Guariglia, l’architetto Morrone, il pittore Battista e lo scultore e ceramista Paladini, che hanno dato vita a quello che i contemporanei descrivevano come un palazzo “suntuoso”. Ma è il giardino che cattura immediatamente l’attenzione, con la sua apertura scenografica attraverso l’antico cancello in ghisa.

La casa viene dal ramo materno della famiglia di mio marito. Fu un suo antenato, Achille Tamborino, ad acquistarla dai Paladini attorno al 1880, e a volerla ristrutturare in chiave neoclassica. Le sue iniziali si possono notare sul cancello. La scelta stilistica rispecchia i classici giardini delle città del sud, che non sono esterni all’abitazione come quelli anglosassoni ma interni. Possiamo intenderli come giardini delle delizie. Hanno un ruolo spirituale ma servono anche ad una piccola e sobria economia domestica. Per questo sono molto presenti gli agrumi, sia per il godimento visivo e olfattivo ma anche per garantire un minimo di autosufficienza, per la tavola. Alcune piante erano già presenti, molte altre sono stata io a piantarle e curarle, e mi dispiace vederle ora in un momento di grande sofferenza, a causa del clima estivo pugliese. L’idea che ho voluto portare avanti è quella di conservare l’impianto delle essenze mediterranee, ma aggiungendo alcune particolarità. Ci sono i limoni, gli aranci e i mandarini… poi ho piantato le lime calabresi con le quali si fa anche un liquore particolare. Il perimetro è circondato da boschetti di bambù e da enormi palme, che purtroppo recentemente sono state dimezzate, a causa della diffusione del punteruolo rosso.

Camminiamo verso il lato destro, dove noto un’elegante struttura in ferro circolare che racchiude delle panchine e un tavolino. È qui che Gabriella Cezzi inizia a raccontare la sua personale rivoluzione.

Il resto del giardino nasce da una visione personale. La mia idea è rinaturalizzare completamente lo spazio, con le nostre specie selvatiche mediterranee. Lo sforzo va nella direzione di non utilizzare più niente di chimico ed evitare di impiantare specie alloctone.

Al centro spicca un nespolo antichissimo, attorno sbucano da ogni angolo menta, cardi e asparagi selvatici. Mi guida verso quella che definisce un’altra “stanza”, in fondo sul lato sinistro, come se ci stessimo spostando dalla sala ricevimenti alla sala da pranzo. L’impressione è letteralmente quella di uno spazio abitativo a cielo aperto, con le mura e il pavimento dipinti di verde.

«Questi sono impianti che ho fatto io, di jacaranda e di acacia farnesiana, come la chiamiamo noi in famiglia, è l’acacia con i fiori gialli, a piumino di borotalco. Qui prepariamo piccoli pranzi estivi, mi piace tantissimo poter stare in intimità all’aperto». Guardando in alto, ora che il sole ha smesso di picchiare, mi rendo conto che solo in questa zona, più appartata, gli alberi sono così alti e grandi da coprire quasi completamente cielo.

Tornando verso l’ingresso, ricompare Maria Irene, che ci invita a ripararci dal caldo afoso di mezzogiorno. Tutte e tre attraversiamo nuovamente l’atrio per andare verso il portone d’ingresso. Da qui ci voltiamo per ammirare la prospettiva: «è una perfetta simmetria, quando entri nel palazzo la prima cosa che salta all’occhio è proprio la vegetazione sul fondo, perché l’effetto prospettico è quello di un quadro naturalistico, inserito nell’arco piccolo che a sua volta si inscrive in quello grande».

E come capita spesso quando si hanno ospiti a casa per una visita, sull’uscio del portone ci si attarda con gli  gli argomenti più disparati, e la conversazione si sposta sulla sostenibilità:

ho disattivato l’impianto di irrigazione perché notavo che molta acqua andava sprecata, anche se abbiamo il pozzo artesiano. Sicuramente era troppa per il prato, dove il nasturzio si è seminato spontaneamente: è una piantina che si potrebbe definire “autonoma”, quando è primavera la sua fioritura fa apparire il prato come quelli che si trovano in aperta campagna. Essendo selvatica riesce ad auto-sostentarsi con la poca acqua che recupera, quindi non ha bisogno di essere annaffiata frequentemente. Queste cose le ho imparate da sola, informandomi, chiedendo agli esperti, leggendo riviste specializzate… ma soprattutto sul campo. I miei studi e la mia professione appartengono all’ambito giuridico ma la mia grande passione è diventata la cura delle piante, grazie a questo giardino.

L’aneddoto del finocchiaccio rivela tutta la sua determinazione nel perseguire una visione naturale:

l’idea delle piante autoctone all’inizio non piacque a mio marito. Feci fiorire addirittura il finocchiaccio! Che però poi persi per colpa di un giardiniere che mi aiutava in quel periodo: pensando di farmi un favore decise di estirpare quella che considerava “solo un erbaccia”.  Abbiamo delle piante nelle nostre campagne che resistono e fioriscono nonostante la salsedine, il vento, il clima ostile: bisogna valorizzarle. Gli inglesi amano il giardino naturale e hanno una cultura immensa in questo settore: per me loro costituiscono un punto di riferimento. 

Il giardino non è solo contemplazione, ma spazio vissuto. Gabriella racconta degli eventi che ospitano:

diamo gli spazi in locazione, ma negli ultimi tempi principalmente quelli del palazzo, davvero poche volte il giardino perché è molto probabile che si rovini. A luglio però ha ospitato il festival della musica camera, ed è venuta qui a suonare Beatrice Rana, grandissima pianista. Anni fa un mio caro vecchio amico, esperto di botanica, ha realizzato qui la Mostra dei Semi. Sono stati girati anche diversi film, anzi davvero tanti! Mine Vaganti di Ozpetek è uno dei nostri film preferiti anche per questo.

E poi, con un sorriso che tradisce un po’ di stanchezza: «che fatica! Ci vuole un impegno costante, ma che soddisfazioni! Il nostro obiettivo è far sì che questo luogo abbia una propria anima e si auto mantenga». Uscendo da questo giardino delle delizie leccese, dove le lime calabresi crescono accanto al nespolo centenario e i cardi selvatici fioriscono liberamente, porto con me l’immagine di una famiglia e soprattutto di una donna, che ha saputo trasformare un’eredità storica in un manifesto di futuro sostenibile. In tempi di crisi climatica, Palazzo Tamborini Cezzi sussurra una verità scandalosa: a volte la bellezza più autentica nasce dal coraggio di scegliere ciò che appartiene davvero al territorio.

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Sara Buglione

Redattrice

Pugliese trapiantata in Emilia-Romagna, laureata in Arti Visive all’Università di Bologna, non perde occasione per prendere aerei e treni appena può.

Affascinata dalla cultura giapponese, spera un giorno di poter visitare le isole nipponiche; nel frattempo passa le ore a guardare anime. La trovi sempre in giro, magari su un longboard skate o in un mercatino vintage.

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