Speciale Esterno Verde lungo il Po
L’evento dedicato ai paesi lungo il fiume, raccontato (e consigliato) da chi lo organizza.
Parole di Licia Vignotto | Settembre 2025
Quest’anno Esterno Verde affronta una grande sfida: sabato 13 e domenica 14 settembre invita ferraresi e turisti a esplorare i villaggi e le frazioni che da Ferrara si allungano a nord verso il grande fiume, e ne accompagnano il corso. La difficoltà e la bellezza di questa proposta risiedono nello stesso nucleo: un territorio ampio, apparentemente vuoto. Sarà difficile affrontare la distanza, i chilometri da percorrere nella campagna e sugli argini. Sarà bello scoprirci dentro nicchie di vitalità e fantasia, infilarsi dentro una bottega o nell’androne di una villa, imboccare un viale alberato, oltrepassare un piccolo cancello, e trovare dappertutto – espressa nelle forme più originali e inaspettate – l’intenzione umana di perseguire e perpetuare il sogno, sia esso un barcone galleggiante lontano da tutto e da tutti, una delizia elegantissima e poderosa, un nuovo frutteto, un pappagallo color cobalto, un labirinto nel mais.
Esterno Verde aprirà al pubblico una serie di luoghi normalmente non accessibili o poco conosciuti: residenze nobiliari, corti agricole, impianti idrovori, boschi antichi e recentissimi, vecchi cinema di paese, eco-villaggi, orti sociali, maneggi e allevamenti… davvero ce ne sarà per tutti i gusti.
Se si volesse trovare in questa eterogeneità un filo rosso, un minimo comune denominatore, sarebbe quello del desiderio. Ognuno di questi spazi, nel passato o nel presente, ha testimoniato o testimonia una tensione, una visione, e un commovente sprezzo delle consuetudini. Non c’è molta differenza tra i duchi d’Este che decidono di costruire una residenza magniloquente in mezzo alla palude e una ragazza che organizza dal nulla una tenuta di alpaca, o un prete che concede la canonica a una comunità di artisti. Certo i tempi sono diversi, anche i mezzi e gli obiettivi, ma al fondo c’è lo stesso spirito: va bene, di solito non si fa, ma perché non farlo? A me piace, lo voglio, lo faccio. E così appare la fiaba, un susseguirsi di sorprese, paese dopo paese.
Da organizzatrice di questa iniziativa, non me la sento di consigliare una tappa piuttosto di un’altra, un’attività piuttosto di un’altra: la mappa dei luoghi aperti e il programma delle iniziative sono entrambi ricchissimi e ciascuno – a seconda delle proprie inclinazioni e curiosità – potrà trovarci qualcosa che risuona o che stuzzica. Magari saranno i giochi di una volta, l’idea di provare la corsa coi sacchi o il tiro alla fune, magari sarà il reading al tramonto. Oppure la mostra dedicata all’avifauna, oppure la possibilità di vedere un mastodontico impianto idraulico di inizio Novecento.

I consigli che voglio dare sono a maglia larga, e sono due.
Il primo è: prestare attenzione ai nomi delle cose e dei luoghi, ai nomi delle strade e delle possessioni. È una fissa? Probabile. Di quanto sia importante la toponomastica, per sentire vicino e amico un territorio, avevamo già scritto qualcosa, nel primo speciale dedicato a Esterno Verde, pubblicato nella primavera 2024 e dedicato ai paesi lungo il Volano (lo si può recuperare qui). Alla riflessone già condivisa è interessante aggiungere un tassello, che viene direttamente dal romanzo Il mulino sul Po. Bacchelli scriveva della Diamantina come di un luogo terribile, «più brullo e sterpigno di quanto non fosse stato mai, impaludato da stagni e scoli inerti», eppure ne celebra il nome, «simile a uno di quelli che brillano nelle ottave del Boiardo e dell’Ariosto, quasi caduto da una di quelle a ingemmare una boscaglia spopolata e grame terre perniciose». Da questo primo spunto ampliava la considerazione, perché in quella zona di nomi fantastici ce n’erano e ce ne sono tanti: «povere pievi solitarie e casali sperduti e poderi miseri, polesini brulli e lame acquitrinose e sodaglie deserte, si fregiavano di nomi arditi e fantasiosi, coll’aria d’una fiaba perduta: Fioril d’Albero e Man di Ferro, casale di Castel Trivellino e la Leona e Ca’ del Padreterno e Porpolana, Sette Polesini e la Grua, Salvatonica e l’Aquila, Torre Senetica e il Malguardato. Era e rimase per un pezzo uno dei territori del ferrarese più poveri e giù di mano e pieni di malanni, a principiar dalle febbri; ma parevano nomi cercati, e serbati dai villani in tante vicende e travagli e trapassi di ricchezze perdute d’immutevole miseria, per fedele vaghezza, leggiadra e strana, di consolante poesia».


Il secondo consiglio è: ricordarsi di tanto in tanto che non siamo in Val d’Orcia, e nemmeno in Costa Smeralda. E forse proprio per questo riusciremo a stupirci di più, perché riusciremo a vedere di più, con maggiore franchezza. In Rumore bianco, di DeLillo, c’è un brano dedicato alla “stalla più fotografata d’America”. Il protagonista e un suo amico ci vanno in gita, e già la strada per arrivarci è piena di cartelli. Giunti al punto trovano le persone in coda, con i teleobiettivi e i treppiedi, e un emporio che vende cartoline e diapositive del luogo. Uno alla volta i visitatori si piazzano e scattano, ma la stalla non la vede nessuno, perché dopo aver letto i cartelli è impossibile vederla per ciò che è. «Trovarsi qui è una sorta di resa spirituale. Vediamo solamente quello che vedono gli altri. Le migliaia di persone che sono state qui in passato, quelle che verranno in futuro. Abbiamo acconsentito a partecipare di una percezione collettiva. Ciò dà letteralmente colore alla nostra visione. Un’esperienza religiosa, in un certo senso, come ogni forma di turismo». Come sarà stata questa stalla prima di essere fotografata? I due si interrogano: «Che aspetto avrà avuto, in che cosa sarà differita dalle altre e in che cosa sarà stata simile? Domande a cui non sappiamo rispondere perché abbiamo letto i cartelli stradali, visto la gente che faceva le sue istantanee. Non possiamo uscire dall’aura. Ne facciamo parte. Siamo qui, siamo ora». Anche nel weekend di Esterno Verde saremo tutti qui e saremo tutti ora, ma avremo la facoltà di vedere. Godiamocela.


Licia Vignotto
Redattrice | Responsabile del festival Interno Verde
Co-fondatrice dell’associazione Ilturco, che nel 2016 ha ideato e lanciato Interno Verde, e co-fondatrice dell’omonima cooperativa impresa sociale, creata nel 2021 per gestire al meglio l’evento. Responsabile del festival, descrive il suo lavoro “una via di mezzo tra l’investigatore privato e lo stalker”.