Dentro il sogno dell’architetto Arata

Antichità e botanica nel giardino più romantico di Piacenza

Parole di Gloria Rossi | Immagini di Giulia Nascimbeni | Maggio 2024

Lame di luce danzano tra le fronde colando attraverso i rami e le foglie, illuminando ora una siepe, ora un orcio. L’ombra avvolge il giardino. Si sente solo il canto degli uccelli, che hanno scelto questo angolo magico come loro casa, e il gorgogliare dell’acqua nella fontana.

Casa Arata è uno di quegli scrigni nascosti che non ti aspetti in un capoluogo come Piacenza, perché la città tutto attorno si muove e fa rumore.

Giuseppe Montaretto Marullo, insieme alla sorella, è erede e curatore di questa meravigliosa isola verde. Ci guida in un viaggio nell’anima più intima di questo luogo del cuore, ripercorrendone la genesi. 

Nel 1922 Giulio Ulisse Arata, noto e prolifico architetto, tra i massimi esponenti della sua epoca, acquista il terreno e le costruzioni ad esso collegate, in parte competenza della basilica di Sant’Antonino, in parte del settecentesco Palazzo Baldini. Inizia allora il lungo processo di ideazione e costruzione di un giardino ricco e affollato, in stile dannunziano, con l’acquisto di piante provenienti dai migliori vivai di Bolgheri, in provincia di Livorno.

Dalla mente dell’architetto sboccia un eden intessuto di trame e suggestioni, con geometrie italiane che cedono il passo a terrazzamenti, grotte, pensatoi e scalinate in pietra che muovono e fanno danzare piani e prospettive. La sorprendente ricchezza botanica è punteggiata da reperti archeologici scelti e acquistati da Arata stesso. Elementi romani, etruschi e medievali s’inseguono tra le siepi: dove si erge una colonna, un capitello, dove appare una statua, dove si levano portali e mascheroni, e perfino, nel giardino pensile, si staglia una guglia gotica del Duomo di Milano, acquistata ai tempi della Veneranda Fabbrica.

Una creatività fiorente che ribolle incessante: il ripensamento dello spazio è continuo, un processo senza fine. «Mi raccontava mia mamma – ricorda Giuseppe – che fino all’ultimo Giulio ha lavorato al giardino, e fino all’ultimo ha voluto modificare qualcosa».

Attraverso il fluire dei ricordi e dei racconti della madre, che gli parlava del nonno, scomparso quando Giuseppe aveva solo due anni, si percepisce l’immenso amore rivolto a questo giardino, teatro di giochi d’infanzia e d’avventure della prima giovinezza.
«Tutti i miei ricordi sono qui, la cura di questo luogo è una tradizione a cui siamo estremamente legati e che andrà avanti con la famiglia». Si percepisce nelle sue parole l’importanza e il significato che risiedono nell’ereditare e dare continuità a un microcosmo così complesso e così amato. «Proprio avendo avuto la fortuna di poterlo vivere, sentiamo l’obbligo di conservarlo al meglio, senza modificare la struttura originaria, addirittura riproponendo le stesse fioriture che piantava Giulio, come gli Aeschynanthusi ai lati dei vialetti, che ogni estate continuiamo a integrare, mantenendo vivo così anche lo spirito di Giulio».

Mantenere questo giardino al meglio delle possibilità per lui e sua sorella rappresenta un dovere morale: «anche se richiede sforzo, fatica ed investimenti economici, tutto passa tutto in secondo piano. Si tratta di uno dei molti bei giardini che si trovano in Italia, ma per noi ha ovviamente un valore unico, è parte della nostra vita». 

Diversi botanici negli anni sono venuti in visita, rilevando varietà particolari, come il Cefalotasso cinese:  «tutte queste piante, dall’ottima vitalità e ormai centenarie, sono state scelte con un criterio e pensando a come si sarebbero sviluppate col trascorrere del tempo».

Nella sua ammirevole ricchezza arborea, il giardino ospita infatti esemplari degni di nota come il Cephalotaxus harringtonia, conifera rara nei giardini italiani, originaria di Cina e Giappone e importata in Europa nella prima metà dell’Ottocento, tre Magnolie grandiflora, una delle quali censita dalla forestale dell’Emilia-Romagna come la più grande tra quelle presenti nella regione, raggiungendo 27 metri circa di altezza, un Ginkgo biloba alto 25 metri, specie relitta e comunemente nota per la propria antichità (le sue radici affondano centinaia di milioni di anni fa nell’era geologica del Permiano). E ancora Magnolia stellata, Cedrus atlantica glauca, Fagus sylvatica asplenifolia, Platycladus orientalis…

«Quando ero bambino – prosegue il racconto Giuseppe – ricordo che c’erano tanti roseti, ma un giardino vive e le piante crescono, e crescendo hanno creato un giardino d’ombra. Ora, più che rose, ci sono floride ortensie. Solo nella parte alta del giardino, nella sezione pensile, resiste il roseto».

Le lancette dell’orologio, in certi luoghi, sembrano procedere in modo differente, più lentamente, dolcemente, come nel caso di questo giardino, che nasce amato e pensato, romantica oasi felice, locus amoenus prezioso destinato a tramandarsi di generazione in generazione.
«Per il futuro vogliamo conservarlo come è sempre stato, è già ricchissimo e vogliamo fare il possibile per mantenerlo al meglio».

Una promessa a sé stesso e a un’intera comunità, che potrà così continuare a ritrovare, ogni estate, il timido baluginio delle lucciole che a giugno, in tutto il centro storico di Piacenza, si ritrovano solo lì.

Gloria Rossi

Redattrice

Archeologa e amante della natura, non riesce a stare lontana dalla terra e dai suoi tesori. Nata a Parma ma col cuore in qualche isola del Mediterraneo, ama scrivere, leggere e naturalmente occuparsi del suo giardino.

Giulia Nascimbeni

Fotografa | Art director di Interno Verde

Grafica e fotografa. Collabora con l’associazione Ilturco dal 2016, ovvero dalla prima edizione del festival dedicato ai giardini di Ferrara, è co-fondatrice della cooperativa Interno Verde, creata nel 2021 per supportare la crescita dell’evento. Se fosse una pianta sarebbe un agapanto.

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